di Giuseppe Longo

Cinque anni fa – era esattamente l’11 gennaio – si spegneva don Domenico Zannier, sacerdote, poeta e uomo di grande cultura, instancabile cantore del Friuli. Ma anche parroco di Lusevera, comunità che ha guidato dal 1960 al 1972. Sono passati cinquant’anni, tondi tondi, da quando pre’ Meni lasciò l’Alta Val Torre, per dedicarsi all’insegnamento stabilendosi a Casasola di Majano, il paese della madre, dove è vissuto fino alla fine dei suoi giorni. Mezzo secolo è sicuramente tanto, ma in queste vallate, divenute famose per le Sorgenti del Torre e le Grotte di Villanova, il ricordo del sacerdote è ancora vivo, ovviamente nelle persone di una certa età, tanto che il Comune di Lusevera ha voluto dedicargli una strada, e non una qualsiasi bensì la principale del paese, quella che lo attraversa e lungo la quale abitava. Una intitolazione che il sindaco Luca Paoloni, sostenuto dai colleghi di giunta, è riuscito a realizzare sebbene siano trascorsi soltanto cinque anni dalla morte, mentre le norme solitamente prevedono che ne debbano passare almeno dieci.
Per cui questo pomeriggio sarà festa a Lusevera nel ricordo dell’indimenticato pre’ Meni. Alle 15 è fissato il ritrovo di autorità e popolazione presso il centro Stolberg, dove la cerimonia sarà aperta dall’intervento del professor Walter Tomada che traccerà una biografia del sacerdote-poeta, che fu anche candidato al Premio Nobel. Ci saranno anche incursioni musicali a cura di Andrea Del Favero e di Glauco Toniutti.
Nato a Pontebba nel 1930, Domenico Zannier fu ordinato prete l’8 luglio del 1956. Cooperatore parrocchiale a Sutrio fino al settembre del 1958, fu poi cappellano a Pradamano (fino al settembre ’59) e in seguito a Pocenia e a Castions di Strada, fino al 1960, per poi essere nominato dall’allora arcivescovo Giuseppe Zaffonato parroco di Lusevera, comunità che guidò per dodici anni, fino al 1972, divenendo quindi insegnante di scuola media.
Non solo sacerdote e docente, dunque, ma anche poeta e scrittore, traduttore e giornalista pubblicista – diresse “La Vita Cattolica”, il settimanale dell’Arcidiocesi di Udine,  negli anni a cavallo del terremoto del 1976 -, oltre che critico d’arte. La sua attività letteraria fiorì già in giovane età, raggiungendo, passo dopo passo, vertici consistenti, tanto da ottenere innumerevoli premi e riconoscimenti nazionali ed internazionali: dal premio “Nadâl Furlan” del 1979, per i valori di civiltà cristiana espressi nelle sue opere, passando per il “Premio della Cultura” della Presidenza del Consiglio dei Ministri e il “Premio Campidoglio d’Oro” della Internazionale Burkhardt Akademie, per citarne solo alcuni. Ma, nel 1986, fu appunto candidato al Nobel per la Letteratura da due prestigiose Università austriache, quelle di Salisburgo e di Innsbruck. Nonostante questa sua imponente levatura culturale, Domenico Zannier per tutti era rimasto soltanto pre’ Meni, prevalendo il suo modo d’essere, semplice, affabile, gioviale e di grande compagnia, tanto che in molti paesi è ricordato ancora con affetto e simpatia.
Compose il suo primo lavoro – un sonetto dedicato alla Madonna – a 16 anni: da lì seguirono liriche in italiano, abbozzi anche in francese e in inglese, lingue che conosceva bene. I primi versi in friulano sono del 1949, ma la vera svolta verso la “marilenghe” iniziò nei primi anni Cinquanta, prendendo così corpo la volontà di valorizzazione dell’identità della sua amata terra che si tradusse in concreto anche nella fondazione della “Scuele Libare Furlane”, istituzione che operò dal 1952 al 1975. Tra le sue tantissime opere vale la pena di ricordare la quadrilogia dei poemi pubblicati nel volume unico “I dîs dai Ciclamins”, “L’Ancure te Natisse” e “I Dumblis Patriarcâi”, con la quale pre’ Meni ha dato alla letteratura ladino-friulana il più vasto ciclo epico-narrativo. Una seconda quadrilogia comprende i poemi “Crist Padan”, “Anilusi” (poema indiano), “Flôr Pelegrin” e “Colomps di Etrurie”. “Cjavêi di Lûs” è il titolo dell’ultimo lavoro che ha coronato la sua ricca attività letteraria. Nei suoi poemi il sacerdote ripercorre il cammino del Friuli e dell’Europa, attraverso i loro contenuti umani, civili e religiosi, «richiamando il passato come fonte di conciliazione» e rifiutando – come sottolineava lui stesso – «la memoria quale alimento di rivendicazione e di odio».
Un grande ricordo, quindi, di don Domenico Zannier come uomo di lettere, ma anche come prete, sempre disponibile e attento alle necessità spirituali, e non solo, delle comunità che gli furono affidate. Come appunto quella di Lusevera che, con riconoscenza, ha deciso di ricordarlo per sempre dedicandogli la via che gli sarà intitolata fra poche ore.

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In copertina, don Domenico Zannier del quale ricorrono cinque anni dalla morte.

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