«La Regione, il Paese, il mondo stanno uscendo con sacrificio dalla pandemia. In questo momento la ricostruzione post-terremoto e il Duomo di Venzone, che ne è uno dei simboli, rappresentano ciò che l’Unione Europea ci sta indicando con il Piano di ripresa e resilienza: un esempio di ricostruzione e ripartenza, di capacità di riprogrammare il futuro, dove non c’è spazio per l’individualismo, ma solo per un forte senso di comunità». È il messaggio che il governatore del Friuli Venezia Giulia, Massimiliano Fedriga, ha portato a Venzone in occasione delle celebrazioni per il 45° anniversario del terremoto e per i venticinque anni dalla completa riapertura del Duomo di Sant’Andrea Apostolo al culto che era stato completamente distrutto dal sisma del 6 maggio e soprattutto dalle repliche del 15 settembre 1976.

La cerimonia in Duomo.

«Due giorni dopo il terremoto la gente non piangeva più, era impegnata a ricostruire le sue case e a darsi da fare per recuperare la normalità», ha detto ancora Fedriga, evidenziando che «oggi non basta il ricordo, quanto è stato deve essere ancora un esempio, che purtroppo in questi giorni troppe volte non viene preso in considerazione. Dai padri e dalle madri di questa terra, che non hanno pianto né polemizzato, ma si sono messi a disposizione della loro comunità, dobbiamo cogliere quell’alleanza tra istituzioni e cittadini necessaria a ripartire. L’appello che rivolgo è a sanare le ferite insieme, senza colpevolizzare nessuno ma tornando a camminare uniti come hanno fatto i nostri padri».
Novemila pietre ricollocate nella loro posizione originaria, un cantiere durato otto anni, avviato nel 1988 e concluso nel 1996, un’esperienza unica che ha avuto bisogno di tempo per essere interiorizzata e compresa da un punto di vista scientifico e spirituale. Questa è stata la ricostruzione del Duomo di Venzone per “anastilosi” – la ricollocazione pietra su pietra laddove era e come era – illustrata negli aspetti storici, tecnici, scientifici e sociali nel volume di trecento pagine “Parole di pietra. Il Duomo di Venzone si racconta” (Luglio editore) a cura di Alessandra Quendolo, professoressa associata di Restauro architettonico all’Università di Trento, e Floriana Marino, direttrice del museo Tiere Motus di Venzone, entrambe laureate in Architettura all’Università Iuav di Venezia. Il libro è stato presentato nel Duomo stesso nel corso di un evento che ha restituito anche sotto gli aspetti emozionali e della memoria la simbologia di cui questa ricostruzione è carica sia per la comunità locale che scientifica.

Le macerie lasciate dal sisma.


«La ricostruzione per anastilosi del Duomo è uno degli esempi tangibili del successo del Modello Friuli, che non ha perso tempo, non si è incagliato nella burocrazia, e che ha restituito ai friulani le fabbriche, le case e le chiese, l’unico modello che in Italia ha veramente funzionato – è stato il commento a margine dell’assessore regionale alle Finanze, Barbara Zilli -. Andiamo orgogliosi di questo e andiamo orgogliosi del Duomo di Venzone che è un simbolo di ricostruzione e di ritorno alla vita. Mille morti non si possono dimenticare e non si devono dimenticare, ma dalle macerie, dallo spirito di appartenenza di comunità, dalla volontà reciproca di collaborare e di darsi una mano è nato il Friuli che conosciamo oggi. Un Friuli diverso da quello del 1976, ma che ha saputo riprendere in mano il proprio destino».
Nei saluti di apertura di monsignor Roberto Bertossi, pievano, di Amedeo Pascolo, sindaco, e di Loris Cargnelutti, presidente vicario dell’associazione Comuni terremotati e sindaci della ricostruzione del Friuli, il ricordo del passato ha evocato anche la compianta figura di Giuseppe Zamberletti, sollevando un lungo spontaneo applauso del pubblico.
Il senso di comunità che sottende alla ricostruzione del Duomo è stato richiamato nelle parole di Marisa Dalai Emiliani, professoressa emerita dell’Università La Sapienza, di Roma, che fece parte della Commissione tecnico-scientifica dell’omonimo Comitato presieduto dall’allora arcivescovo di Udine, monsignor Alfredo Battisti. Il primo passo ad aprire la strada al progetto di restituzione del Duomo fu la petizione popolare firmata da seicento persone che avevano chiesto fortemente di «non essere resi stranieri nel loro paese». Fu da qui, da questa volontà di riottenere una vera resurrezione delle pietre abbattute, che il progetto di ricostruzione fu accolto dal voto unanime del consiglio tecnico del Ministero della Cultura da poco istituito. Fu un’utopia che prese forma concreta, un progetto che restituì identità e senso di appartenenza e che ora è narrato, pagina per pagina, anno per anno, fotografia per fotografia, nel “libro della speranza”, come il volume è stato definito nel corso della presentazione.
All’evento, ricco di interventi moderati dalla giornalista Giacomina Pellizzari, hanno preso parte anche Bruno Tabacci, sottosegretario di Stato alla presidenza del Consiglio dei ministri, Piero Mauro Zanin, presidente del Consiglio regionale Fvg, Francesco Doglioni, già professore dell’Università Iuav di Venezia, e Franceschino Barazzutti, presidente onorario dell’Associazione Comuni terremotati. Saluti sono giunti anche da Maria Paola Gatti, dell’Università di Trento, e Simonetta Bonomi, soprintendente del Friuli Venezia Giulia.

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In copertina e qui sopra la Chiesa di Sant’Andrea Apostolo dopo la sua completa ricostruzione.

 

 

 

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