(g.l.) Il 3 aprile di ogni anno il Friuli storico ricorda la nascita dello Stato Patriarcale, avvenuta nel 1077: è la “Fieste de Patrie dal Friûl”. Un evento celebrato, pochi giorni fa come è noto, anche in Consiglio regionale, a Trieste, ove accanto ai politici – il presidente della stessa Istituzione di Piazza Oberdan, Piero Mauro Zanin, e il governatore Massimiliano Fedriga – ha avuto un ruolo di primo piano pure l’intervento di Dino Persello, attore, regista e scrittore, da sempre impegnato per la difesa e la valorizzazione della lingua e delle peculiarità della sua terra. Un intervento applauditissimo, intercalato dagli altrettanto apprezzati intermezzi con le fisarmoniche di Pasqualino Petris e del figlio Manuel, che ha emozionato l’artista sandanielese (ma nato nella vicina Dignano, in riva al Tagliamento), anche perché ha registrato una comunanza di vedute – «la sintonia dei pensieri», come lui stesso la definisce – con il presidente della Regione Fvg, quando ha parlato di difesa delle radici. «Una ricorrenza – aveva infatti osservato Fedriga – che rappresenta le radici dalle quali crescono le foglie del nostro presente. Foglie che però ora devono iniziare a guardare al futuro. Sulle radici dalle quali proveniamo, infatti, stiamo costruendo il Friuli Venezia Giulia di domani». E di radici Persello parla con molta efficacia nello scritto in lingua friulana – con la sua cadenza dignanese – che riportiamo qui sotto.
«I verbali dei notai intorno al 1250 – ha raccontato l’attore in “marilenghe”, come ha riferito Trieste All News – venivano scritti in tre lingue: italiano, latino e friulano, con le sue varianti. Ma non è certo che all’epoca si salutassero con il “Mandi” che usiamo ancora oggi come saluto di affetto e confidenza che non ha eguali nella lingua italiana, pur senza sapere cosa significhi di preciso. C’è chi vi assegna significati religiosi, “Che la mano di Dio ti protegga”, ma anche “Che tu possa vivere a lungo”». E nell’aula consiliare, come non ricordare l’indimenticabile Alfeo Mizzau, per tutti “Feo di Bean”, sempre in prima linea per la difesa dell’identità friulana, portandone la lingua anche tra i banchi del Parlamento europeo. Ma Persello non ha evitato le asperità dei nostri giorni, partendo dalla dura esperienza dei due anni segnati dal Covid o Coronavirus che dir si voglia. «È morta – ha detto con amarezza – la migliore delle generazioni, quella che senza studi ha educato i suoi figli, quella che anche se le mancava tutto ha insegnato loro il valore più grande della vita: la dignità. Se ne sono andati quelli che hanno lavorato da un buio all’altro, quelli che si accontentavano di niente, quelli che chiedevano solo di morire in pace invece sono morti da soli, spaventati, e se ne sono andati senza disturbare e senza un “Mandi”. Siamo un popolo che ha difficoltà a lavorare in squadra, a promuovere i suoi prodotti e il suo territorio, all’accoglienza, anche se in questo stiamo crescendo e i giovani hanno iniziato una promozione molto dettagliata». E ha concluso con una battuta, peraltro molto applaudita: «Da 132 anni a questa parte, a Fagagna si ripete la corsa degli asini. Lo scorso anno, hanno corso 5 asini e 20 asine: questo vuol dire che l’emancipazione femminile è più avanti tra gli asini che tra gli esseri umani».
All’intervento di Dino Persello è quindi seguito il discorso del governatore Fedriga, il quale ha tra l’altro ricordato che attualmente il friulano è parlato da «circa 600 mila persone in 176 Comuni delle ex province di Udine, Pordenone e Gorizia e in 7 Comuni della provincia di Venezia». E questo dimostra l’importanza della sua salvaguardia. «Uno strumento di trasmissione culturale indispensabile – aveva aggiunto il presidente Fvg – affinché quelle radici nutrano le foglie del nostro futuro. Anche perché tutte le diversità costituiscono una ricchezza per la regione. Da qui l’impegno dell’Amministrazione regionale per la tutela e la valorizzazione della lingua friulana, in quanto all’estinzione del patrimonio linguistico corrisponderebbe un vuoto valoriale inaccettabile».
LE SPERANCE TAS RADÎS!
di Dino Persello
Al jere un popul che, come un arbul, di une vore di secui al stava in chel lûc, fuart de sô etât e de sô storie.
Al veva sapuartât ogni sorte di tribulasions, provocades da l’om o voludes de nature, ma a jere valude le pene parceche i siei ramaçs a si alçavin cuntri il cîl, cjariâts di fueis e di pomes.
Chel 6 di Mai dal ’76 e plombâ su di lui cuntune fuarce tremende une tragjedie sterminade.
A forin sbregades vie lis fueis, distrutis lis pomis, fracasâts i ramaçs… Parfin il tronc al restâ ferît.
Ma nuje a jere sucedût a lis lidrîs.
Nissun al si jere inacuart subit, ma lôr a jerin plantadis cun fuarce, e une vore in sot, in chê tiere che lis veve custodidis cuant che ancjemò a jerin une piçule plantute.
E al è stât di chê tiere, che chestis lidrîs e àn tornat a vivi, a cjapâ la linfe e a recuperâ energie… Al e stât cussì che a son tornats a cressi i ramaçs e a vignî fûr planc a planc i prins butui.
E al è stât parcè che a jerin ches lidrîs e chê tiere, che chel popul al à dimostrât di vê… la virtût de sperance!
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In copertina, Dino Persello durante il suo intervento in Consiglio regionale; all’interno, l’artista con i fisarmonicisti Pasqualino e Manuel Petris nell’Aula di Piazza Oberdan. (Foto Trieste All News)