di Giuseppe Longo

NIMIS – «Purtroppo, con tutto quello che succede nel mondo, l’uomo non ha ancora imparato la lezione della Storia!». È  la triste constatazione di un ragazzo delle scuole medie di Nimis che s’incrocia con quella di Bruno Fabretti, ex internato, 98 anni appena compiuti, il quale sorretto da una salute e una lucidità davvero invidiabili non ha voluto mancare all’annuale cerimonia del 29 settembre, quella che ricorda l’incendio del paese del 1944 e la deportazione in Germania di tanti giovani. Come dire che la nuova, ultima generazione, si trova in sintonia con il pensiero di chi quella immane tragedia l’ha provata sulla propria pelle e oggi è ancora qui a renderne drammatica testimonianza. Per cui ha fatto benissimo la civica amministrazione a indire la cerimonia nel giorno anniversario, il 77°, anche se feriale – del resto così avviene da sempre, il 25 agosto, anche a Torlano -, appunto per coinvolgere gli alunni delle scuole primaria e secondaria, dai quali si sono ascoltate frasi profonde, che fanno riflettere e che meritano d’essere annotate. Come pure i bambini dell’asilo che hanno disegnato un enorme drago simbolo di devastazione e di odio, posto dinanzi all’altare maggiore del Duomo di Santo Stefano, dove monsignor Rizieri De Tina ha celebrato la messa di suffragio, creando, alla predica, un parallelo tra i drammi, indimenticabili della guerra, e quelli della pandemia, la guerra silenziosa che purtroppo è ancora in corso, dopo aver causato così tante vittime e cambiato la nostra vita.

Il drago dei bambini dell’asilo.


Al termine del rito nella Comparrocchiale, in corteo si è raggiunto l’attiguo Parco della Rimembranza, ricavato negli anni Sessanta al posto del vecchio cimitero del capoluogo, per deporre, dopo l’alzabandiera, corone d’alloro dinanzi ai monumenti ai Caduti di tutte le guerre e alle vittime dei Lager, voluto proprio dalla sezione degli ex Internati da sempre guidata dall’instancabile commendator Fabretti. Tra gli intervenuti, accanto ad amministratori comunali e rappresentanti delle Forze dell’ordine e delle associazioni combattentistiche e d’arma, anche il presidente dell’Apo Friuli, Roberto Volpetti.
Molto pesante il conto pagato da Nimis durante la seconda guerra mondiale, come ricordato dal sindaco Gloria Bressani, durante l’allocuzione che ha chiuso la serie di interventi, aperti dal saluto di Giuseppe Sibau, a nome del Consiglio regionale (per Palazzo Oberdan c’erano anche Mariagrazia Santoro ed Edy Morandini) e proseguiti con gli interventi di Bruno Fabretti e le riflessioni dei ragazzi delle scuole locali. «Tra il 26 ed il 30 settembre del 1944, anche Nimis fu oggetto di una dura rappresaglia all’interno della più vasta operazione antipartigiana messa in atto dai Comandi tedeschi per eliminare la Zona Libera del Friuli Orientale. Il 27 settembre, Nimis venne preso di mira dalle batterie dell’artiglieria tedesca posizionate sulle colline di Tricesimo, molti civili fuggirono verso le montagne mentre i primi reparti tedeschi occuparono il centro abitato. Dopo gli scontri cruenti con i partigiani, i tedeschi, consolidate le loro posizioni, iniziarono un’azione punitiva verso il paese. La rappresaglia iniziò il 29 settembre; il paese venne fatto evacuare, la popolazione fu fatta sfollare parte verso Tarcento, parte verso Segnacco e Villafredda. Il paese fu dato alle fiamme e la gran parte delle abitazioni distrutte. Ai nostri concittadini fu fatto divieto di tornare nelle proprie case, o a ciò che ne rimaneva, per molto tempo. Le vittime civili furono 22, i partigiani uccisi furono 40, i deportati nei Lager nazisti furono 86 e di questi solamente 40 riuscirono a fare ritorno a Nimis».

L’omaggio del sindaco Bressani.

L’alzabandiera.

Sibau al cippo degli Internati.

Poi, il primo cittadino ha continuato ricordando le parole, molto significative, del presidente della Repubblica, Sergio Mattarella – «un abisso di disumanità in cui affondano le radici della libertà riconquistata» -, e della senatrice a vita Liliana Segre, superstite dell’Olocausto e testimone della Shoah italiana, «coltivare la memoria è ancora oggi un vaccino prezioso contro l’indifferenza». «Parole attuali – ha osservato Gloria Bressani – che si adattano anche a ciò che il mondo sta vivendo negli ultimi due anni, colpito da una pandemia che ha messo in ginocchio intere nazioni. Le distinzioni di colore, sesso, idee politiche o religiose sono sembrate nulla dinanzi al virus, che non ha certo fatto distinzioni nel privarci di affetti e libertà. Questa dura lotta non è ancora giunta al termine, ma ci ha rammentato come la società abbia bisogno di uomini e donne coraggiosi che siano proiettati verso il futuro, ricordando gli errori del passato, che siano pronti a mettere al primo posto il bene della comunità, che siano convinti che il rispetto dei diritti fondamentali siano la base su cui costruire la vera società civile».
Infine, il primo cittadino si è rivolto agli alunni: «Le mie parole – ha detto – si rivolgono a voi, bambini e ragazzi, che siete il nostro futuro. Noi adulti abbiamo l’importante compito di onorare la memoria dei Caduti innocenti, insegnandovi a promuovere il dialogo e la collaborazione, ad essere membri attivi della comunità di cui fate parte, a non seguire individualismi, ma soprattutto a non avere paura di compiere le vostre scelte in piena libertà e questo lo potete fare anche grazie all’impegno di chi si è sacrificato in quel periodo storico che oggi stiamo ricordando; lasciamo quindi nelle vostre mani la memoria, affinché possiate costruire la società in cui vivrete».

La campana di Centa.

I ragazzi delle scuole.

Prima del sindaco, era intervenuto proprio Bruno Fabretti, come detto ormai raro testimone oculare di quei giorni tremendi – alla cerimonia c’era anche la ultranovantenne Silvana Ceschia, pure lei internata ma fortunatamente ritornata a casa -, per rendere omaggio alle 46 vittime dei campi di concentramento, salutate ognuna da un rintocco dell’unica campana della Chiesa di Centa rimasta dal terremoto del 1976, mentre ne venivamo letti i nomi. «Io mi sento di rivolgere – ha detto il commendator Fabretti – un ricordo particolare a quegli amici, fratelli e conoscenti friulani, agli abitanti del nostro paese partiti con me e che non hanno più fatto ritorno. Erano padri di famiglia, giovani figli pieni di vita, uomini e donne qualunque, rastrellati a caso perché ritenuti partigiani o collaboratori della Resistenza o per rappresaglia. Ma la Resistenza era invincibile perché era nello spirito, era nell’aria, era nelle case, era in tutto il popolo. Per questo oggi siamo qui, per ricordare il loro sacrificio e le torture che hanno subito e per rendere loro un doveroso inchino di rispetto ed affetto!».

Morandini, Santoro, Fabretti e Bressani.

Volpetti, presidente Apo Friuli.

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In copertina, Bruno Fabretti, 98 anni, ex internato, mentre legge il suo discorso-testimonianza.

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