È uscito l’ultimo album del pianista e compositore pordenonese Gianpaolo Rinaldi nella sua formazione in trio con Mattia Magatelli, contrabbasso, e Marco D’Orlando, batteria. S’intitola “Sapiens doesn’t mean sapiens” e lo realizza interamente, per la seconda volta da leader, dopo il fortunato cd “Suspensions” del 2018.
Il disco segna un nuovo ed importante capitolo della sua produzione, già caratterizzata da una notevole discografia alle spalle e tanti concerti dal vivo e progetti come ospite, co-leader, side man in varie formazioni, con nomi nazionali ed internazionali. In quest’ultima uscita, il suo stile si rinnova nelle aperte maglie del jazz, portando una forte ventata di novità in questo cd che è un concept, ma anche un flusso di coscienza che prende le mosse da vissuti personali e da riflessioni intorno e addentro i pensieri del filosofo contemporaneo israeliano Yuval Noah Harari. Ad ispirarlo, in particolare, è stato il libro “Sapiens. Da animali a dèi. Breve storia dell’umanità”, dove il filosofo approfondisce i temi centrali dell’evoluzione, del progresso, del corso della vita e della società. Sorge così a Rinaldi la domanda: «Siamo davvero così evoluti come crediamo?»
La risposta la dà nelle otto tracce del disco che ha composto, arrangiato e suonato, muovendosi a perfetto agio tra il pianoforte ed il Rhodes, nelle complicità palpabili della sezione ritmica di Magatelli e D’Orlando che con cui collabora, con ottimi risultati, da molti anni.
«È stato in particolare il libro di Harari “Sapiens. Da animali a dèi. Breve storia dell’umanità” a darmi spunto per la creazione del disco», anticipa Rinaldi. «Il tema è quello relativo alle conseguenze del progresso dell’uomo, evolutive ed involutive al tempo stesso: uno spunto di riflessione al quale mi dedico con frequenza. Possiamo affermare con sicurezza che quelli che consideriamo progressi siano in effetti dei passi in avanti, oppure possiamo dire che talvolta siano risultati impoverenti dal punto di vista di valori, abilità personali, cultura e sostenibilità ambientale? In breve, siamo davvero così evoluti come crediamo?».
Giovane e maturo, mai scontato, Rinaldi con il suo trio regala emozioni e riflessioni sull’onda di appassionati stati emotivi e liberi rimandi alla letteratura, all’arte, creando spazi sonori, improvvisazioni, sensazioni condivise. Un disco dal “tiro” tutto suo, con la “title track” al numero tre per un album che attacca a sorpresa in un lancio d’effetto con il brano “Tiresia’s prophecy”, profetico nel racconto omerico, da connettere subito l’ascoltatore in una storia sonora che coinvolge, sorprende. Sono percezioni e perizie di classe musicale che si riverberano in “Restart”, “Lessons”, “Moon”, dai riferimenti autobiografici, e ancora in “Just search for”, “There’s left”, per chiudere negli estri de “Il brano che non arriva”.
Anticipato da due teaser e due video realizzati da Pablo De Biasi e disponibili sul web, attraverso la pagina Facebook e il canale Youtube di Gianpaolo Rinaldi, il disco, disponibile nel suo formato fisico richiedendolo attraverso il sito www.gianpaolorinaldi.it, è stato registrato, missato e masterizzato da Francesco Marzona ai Black Mirror Studios di Udine ed è entrato nel circuito “Tag”, ovvero The Artist Garage, la piattaforma nata in Friuli e prima in Italia nella produzione e promozione di talenti musicali. Il disco “Sapiens doesn’t mean sapiens” verrà presentato prossimamente in concerto e per conoscere le date non resta che seguire l’originale compositore e talento alle tastiere Gianpaolo Rinaldi.
—^—
In copertina, il compositore Gianpaolo Rinaldi nel suo studio; all’interno, in trio con Mattia Magatelli e Marco D’Orlando; qui sopra, l’album appena pubblicato.